Bandiera Navi Accademia Navi

Il Libro contiene 51 messaggi

Messaggio inviato da: Giuliano Rotunno

Data: 14.08.2014

Provenienza: Livorno

Email: giuliano.rotunno@fastwebnet.it; techlink@virgilio.it

Aderisco con entusiasmo a questa bellissima iniziativa.
Giualiano

Messaggio inviato da: Paolo Scifoni

Data: 24.07.2014

Provenienza: Rimini

Email: paolo@scifoni.eu

Mi chiedo come sia vivere questo incredibile trasferimento finale della Costa Concordia, stando a bordo di quel mastodonte, imprigionato nel suo esoscheletro tecnologico che ne garantisce la sopravvivenza. Mi chiedo anche come si siano organizzati logisticamente, quanti tra operatori, controllori, addetti ai vari aspetti di sicurezza ci siano a bordo. Suppongo che abbiano predisposto sui ponti superiori sistemazioni ed impianti (generazione, sensori vari, sistemi antincendio, di comunicazione, spazi per rilassarsi e dormire, gabinetti, ecc...). Vorrei che Stefano, quando tutto sarà finito, ci raccontasse anche di questi aspetti collaterali.

Messaggio inviato da: Alberto Maria Grippa

Data: 31.01.2014

Provenienza: Roma

Email: am.grippa@tiscali.it

DIMOSTRAZIONE DI COME UN ARTICOLO POSSA ESSERE VECCHIO GIÅ ALL'USCITA. Infatti la notizia è di un nuovo rinvio al 25 febbraio.

 

Ci stanno prendendo po' u' ...

 

Troppa confusione sul «caso marò» È il momento della strategia unitaria

 

di DANILO TAINO

Non saranno le frasi roboanti e la corsa al gesto anti-indiano a indirizzare verso una soluzione positiva la vicenda dei due marò italiani trattenuti in India. L’iperattivismo casuale e fuori da una strategia di una parte del mondo politico italiano rischia anzi di creare problemi. Una gara a chi la spara più grossa — tanto costa poco — non ha alcun effetto a New Delhi. Ma a Roma innesca una catena di toni sempre più alti e una rincorsa a esprimere contenuti sempre più estremi (e vuoti). Il rischio è che, per non sembrare deboli, si facciano errori gravi. Nella capitale indiana queste sono ore importanti, la Corte Suprema terrà un’udienza il 3 febbraio e da notizie di stampa locali il governo starebbe prendendo iniziative per arrivare finalmente a formulare i capi d’imputazione contro Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. La posizione da tenere in questi momenti non può essere ondivaga. Invece si ondeggia. Ieri — stando alle agenzie di stampa — il ministro della Difesa Mario Mauro ha, nel corso di un incontro a Foggia, stigmatizzato il rinvio di un’udienza che riguardava i due fucilieri da parte di un tribunale indiano. Si trattava però, come ha chiarito il commissario governativo sul caso marò, Staffan de Mistura, di un rinvio «voluto dall’Italia». Mauro ha poi precisato, ma l’infortunio segnala che la pressione politica per mostrarsi inflessibili e determinati con l’India può generare confusione.

Anche una dichiarazione, tre giorni fa, del ministro degli Esteri Emma Bonino è sembrata più provocata dal dibattito politico interno che dalla scelta politica di usare toni duri con New Delhi. Parlare, come ha fatto, di «inaffidabilità del regime indiano» sul caso dei due fucilieri di Marina significa che il capo della diplomazia italiana ha deciso di alzare i toni e colpire l’India nell’orgoglio. Un salto di qualità, però, non seguito da altri passi e che — risulta al Corriere — nel governo indiano è stato registrato con una certa irritazione. Niente di grave: la diplomazia è anche scontro e toni duri. L’importante è che ciò che si fa e si dice sia finalizzato a una strategia. La stessa visita della delegazione di parlamentari a New Delhi, invece, è sembrata più indirizzata all’Italia che all’India, dove pochi l’hanno notata: organizzata sotto la spinta dell’indignazione e della corsa in avanti voluta dal Movimento 5 Stelle, non fondata su una linea unica di parlamento ed esecutivo.

Negli ultimi tempi, il governo ha finalmente posto in essere una strategia chiara, in grado di avere successo. L’ambasciatore in India Daniele Mancini e i legali di Girone e Latorre hanno chiesto alla Corte Suprema di premere affinché si arrivi alla formulazione dei capi d’imputazione. Non per il gusto di farlo. Per costringere la parte indiana a scoprire le carte: o si decide di andare a un processo secondo il codice penale — non regolato da una legge antiterrorismo e quindi senza pericolo di pena capitale — oppure l’Italia può avere una serie di argomentazioni forti per ricorrere alla Corte permanente di arbitrato dell’Aja e chiedere di giudicare il caso in un tribunale internazionale. Questa strategia ha la possibilità di portare risultati. Anche per questo l’Italia ha presentato alla Corte Suprema una petizione breve: per non dare alla parte indiana motivi di ulteriore rinvio o argomentazioni per sostenere che sono le mosse di Roma a provocare i tempi lunghi.

È su questa strategia che ci deve essere l’unità nazionale: le polemiche e le commissioni d’inchiesta vengono dopo. Quello che c’è da fare sul piano giudiziario è dunque aspettare fino al 3 febbraio, quando la Corte Suprema dirà la sua. A quel punto, il team dei legali e il «gruppo marò» costituito dal governo decideranno cosa fare. In questo momento, per tre giorni, occorre attendere che l’azione intrapresa dia risultati. Ieri, a New Delhi, un quotidiano ha scritto che il governo indiano si starebbe orientando a chiedere al ministero degli Interni di non utilizzare contro i marò la legge antiterrorismo e antipirateria Sua Act. Segno che la strategia italiana ha messo in moto una reazione. Azioni scomposte potrebbero farla deragliare.

Altra cosa è l’iniziativa diplomatica internazionale che il governo, il ministro Bonino e il presidente del Consiglio Letta hanno portato avanti in questi giorni. Ieri, il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso ha detto di essere preoccupato della situazione e di avere avviato iniziative sulla vicenda: «Se questa situazione non sarà gestita in modo adeguato potrebbe avere conseguenze nei rapporti tra la Ue e i partner indiani», ha sostenuto. Anche sul piano diplomatico, non è lo sventolio delle bandiere e lo sfoggio velleitario dei muscoli a portarci alleati. Meglio muoversi sul piano del diritto, quando lo si ha dalla propria parte.

@danilotaino

Messaggio inviato da: Paolo Scifoni

Data: 28.01.2014

Provenienza:

Email: paolo@scifoni.eu

Comincia a manifestarsi un orientamento coerente con quello che io sostengo ed ho illustrato nel mio primo messaggio: appena si riuscirà a far rientrare in Italia, al sicuro, i due Sottufficiali del San Marco, più voci (da fronti diversi) si dicono pronte a promuovere finalmente una ricerca a tutto campo delle responsabilità.

 

Per esempio, On. Pier Ferdinando Casini (Pres. Comm. Esteri Senato): Dobbiamo aspettare che i due ragazzi siano sul territorio nazionale e solo allora, potremo aprire il capitolo delle responsabilità. BIsognerà capire cosa non ha funzionato, chi è responsabile, perché questa vicenda non doveva andare in questo modo. Lo si farà con una commissione d'inchiesta, lo si farà coi metodi che il Parlamento deciderà ....

 

On. Emma Bonino (Capo della Farnesina): Due militari, certo non due terroristi, che si trovavano a bordo del mercantile in virtù del decreto Missioni La Russa ... Ma tutto ciò sarà utile chiarirlo e rivederlo dopo la conclusione, credo positiva, dell'intera vicenda....

 

Le mie domande, che cercano risposte in ambito Marina e Difesa, sono parecchie. Ecco una prima serie:

1. chi ha studiato la proposta delle modalità di impiego dei nostri fucilieri a bordo di navi mercantili, in funzione antipirateria? Chi ha approvato gli aspetti tecnici, le regole d'ingaggio, le modalità di impiego, i piani di comunicazione, i piani di reazione, la catena di comando, ecc... da portare al livello politico per la discussione ed approvazione?

Possibile che nessuno si sia posto il quesito che fare se il comandante della nave decide di consegnare se stesso, l'equipaggio, la nave ai pirati, perché spaventato dal confronto, o perché così istruito dall'armatore, o perché connivente, o per qualsiasi altro motivo?

2. Cosa prevedono le regole di comportamento e gli ordini che hanno ricevuto i nuclei di protezione, in caso che un soggetto ostile riesca a salire a bordo?

3. Tra le dotazioni imbarcate a seguito dei nuclei armati di protezione, veramente nessuno ha pensato di prevedere telecamere per la documentazione dei fatti verificatisi (registrazione continua sui ponti esterni e nelle aree comuni)?

4. Sono state valutate diverse opzioni (e dati ordini coerenti di conseguenza ai nuclei imbarcati), a seconda della rotta che la nave con i nostri militari a bordo avrebbe percorso, in funzione della diversità riscontrabile della minaccia in aree diverse, ed in funzione degli accordi sottoscritti, o meno, dai paesi rivieraschi, in modo che se la nave avesse dovuto rifugiarsi in un paese o in un altro (per qualsiasi motivo: avaria, incidente, motivi sanitari, ecc...) la posizione dei nostri militari fosse chiara, garantita e salvaguardata?

5. Chi c'era nella sala operativa che ha ricevuto le comunicazioni dalla E. Lexie, seguendo l'evento dall'inizio; chi è stato informato (nella nostra catena di comando) degli eventi e quando; chi ha dato indicazioni, ordini, valutazioni e cosa è stato indicato, ordinato, valutato e deciso?

 

...segue...

 

Paolo Scifoni

Messaggio inviato da: Alberto Maria Grippa

Data: 28.01.2014

Provenienza: Roma

Email: am.grippa@tiscali.it

ARTICOLO INTERESSANTE

L'India, i marò e i molti autogol italiani
di ANTONIO ARMELLINI
Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, quel 15 febbraio, erano due militari
in servizio, incaricati di una missione di contrasto alla pirateria
nell'interesse dell'Italia. Le regole di ingaggio nel caso di avvistamenti sospetti sono
precise: invio di segnali vari prima e - in assenza di risposta - ricorso alle armi non
per uccidere, ma per dissuadere. La morte dei due pescatori è stata comunque un dramma e può darsi, anche se allo stato non sembra, che nell'eseguire le regole i nostri abbiano commesso degli errori: se così fosse ne dovrebbero rispondere alla magistratura del loro Paese che in casi del genere è comunque tenuta ad aprire un'inchiesta. E sulla base di queste regole, e non di presunte pulsioni omicide, che dovrebbe essere valutata la loro azione con buona pace delle tante fantasiose, e inesatte, ricostruzioni che in questi mesi è capitato di leggere.
Erano imbarcati in base ad una normativa che ne consentiva la presenza su navi commerciali in navigazione in zone di pericolo.
Sebbene le mansioni potessero essere assimilabili a quelle di contractors privati, tali
non erano, in quanto si trattava di militari comandati in missione dalle loro autorità. L’ambiguità della catena di comando - del comandante nel caso di contractors su una nave commerciale, militare nel caso di membri delle forze armate in servizio - è stata all’origine della decisione di rientrare nel porto di Kochi. Qμale che sia stato il ruolo rispettivamente dell'armatore e del nostro Stato Maggiore in quella sciagurata decisione, si sarebbe dovuto subito pensare di modificare la normativa per evitare che incidenti del genere - sempre possibili- avessero a ripetersi.
Sono passati due anni e non è successo nulla; e sì che non ci sarebbe voluto molto per un rapido passaggio parlamentare per chiudere una volta per tutte la porta a situazioni del genere.
L'India è uno Stato giovane con un forte senso di identità nazionale, vissuto con una
intransigenza resa più rigida dalla memoria del recente passato coloniale. Non è anti-italiana: il nostro Paese riscuote molta simpatia per la sua inventiva, la moda, il lusso e tutto quanto attrae la sua borghesia emergente, anche se non siamo sempre presi molto sul serio. Il «fattore Italia>> pesa per contro molto sul piano interno: Sonia Gandhi ha dominato la scena politica per oltre un decennio e la sua principale fonte di debolezza - l'unica a volte - è quella dell'origine italiana, sbandierata dall'opposizione come segno di una inevitabile inaffidabilità nella gestione degli affari del Paese. A nulla vale che abbia dato infinite prove del contrario: l'accusa di una Italian connection compare puntualmente ogni volta che qualcosa riguardi l’Italia in India, che si tratti di business o, come in questo caso, di rapporti politici.
Il partito del Congresso si appresta ad affrontare le prossime elezioni politiche di primavera da una posizione di debolezza che rende concreta - dopo quattro generazioni
al potere - la prospettiva che la dinastia Gandhi ceda lo scettro a una coalizione nazionalinduista dalle forti connotazioni populiste. In tali condizioni, una vicenda come quella di Latorre e Girone rischia di pesare negativamente su una campagna elettorale già problematica.
La magistratura indiana è indipendente ma non politicamente distratta: mi auguro di sbagliarmi ma non sarei stupito se Sonia Gandhi non fosse sorda all'ipotesi di un congelamento dell'intera vicenda sino all’estate quando, a elezioni concluse e a vittoria ottenuta o persa, il quadro delle opzioni potrebbe farsi per lei più chiaro.
Ciò non vuole dire che si debba subire in silenzio o rallentare gli sforzi. L'India è una
grande democrazia; parla inglese e le sue élite seguono modelli di derivazione anglosassone, ma non è Occidente e rispetta in primo luogo la dinamica dei rapporti di forza. Non è il Paese spirituale e buonista che tanti immaginano, ed è a tratti intollerante e violento.
Dimenticarsene, come direbbero gli inglesi, avviene a proprio pericolo. Senza cedere a seduzioni di «flettere i muscoli» (non siamo gli americani e oltretutto sarebbe velleitario), dovremo mettere in campo tutti i mezzi per negare la competenza indiana sulla giurisdizione ed arrivare come minimo ad un arbitrato internazionale.
Abbiamo dato in passato segnali contraddittori - inviando un Ministro degli Esteri a Delhi a pochi giorni dalla crisi per farsi dire di no, o indennizzando subito le famiglie dei
pescatori così da alimentare una impressione di colpevolezza in un Paese dove le considerazioni umanitarie pesano molto meno che da noi - ma non è tardi per correggere il tiro.
Più che sul congelamento di un negoziato brussellese in cui gli stessi indiani sono piuttosto cauti, è sul piano dell’incompatibilità fra l‘aspirazione indiana - che è quasi una
ossessione - ad un ruolo di primo piano nel Consiglio di Sicurezza e il rifiuto di svolgere
un ruolo commisurato nel contrasto al flagello della pirateria, che potremmo giocarci qualche buona carta nell'Assemblea generale dell'Onu. Senza troppa paura di mostrare qualche spigolosità anche su altri piani ed evitando autogol inutili.
La pena di morte in India è comminata davvero nei casi più rari e all'inizio di questa vicenda Delhi non ci pensava seriamente. Il tema lo abbiamo sollevato noi, pensando forse che il clamore giornalistico potesse rafforzare la nostra posizione. Mentre ha fornito alle autorità indiane un insperato strumento tattico per metterci in difficoltà. Così ora il tema si è fatto reale e corriamo il rischio di dovere un giorno ringraziare Delhi per avere sì condannato Latorre e Girone, ma aver risparmiato loro la pena capitale. Non sarebbe male, come autogol.

Ambasciatore italiano in India
dal 2004 al 2008




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